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Nomenclatura di Flamsteed
La nomenclatura di Flamsteed è un sistema per assegnare nomi alle stelle simile alla nomenclatura di Bayer, ma che usa numeri invece delle lettere greche. Ad ogni stella è assegnato un numero, più il genitivo del nome latino della costellazione in cui si trova. Per ogni costellazione il conto ricomincia da 1. In totale sono state classificate 2554 stelle appartenenti a 52 diverse costellazioni.
I numeri furono originariamente assegnati alle stelle in base alla loro posizione (in ordine crescente di Ascensione Retta in ogni costellazione), ma a causa degli effetti della precessione e dei moti propri stellari, sono oggi nell'ordine sbagliato in alcuni punti.
Esempi di stelle conosciute per le quali si usa generalmente la denominazione di Flamsteed sono 51 Pegasi e 61 Cygni. Nei casi in cui la classificazione di Bayer risulta più complessa, come per "Rho-1 Cancri", si preferisce usare la denominazione Flamsteed, 55 Cancri. Ci sono esempi di stelle con nomi di Flamsteed che non si trovano nelle costellazioni in cui sono inserite, esattamente come per alcune stelle classificate da Bayer, perché i moderni confini delle costellazioni sono stati tracciati in modo diverso da come erano indicati ai suoi tempi.
Il catalogo di Flamsteed copre solo le stelle visibili a quel tempo dalla Gran Bretagna, e quindi le stelle che si trovano nelle costellazioni molto meridionali dell'emisfero australe, non compaiono nel catalogo. Per queste fu stilato nel 1879 da Benjamin Gould il catalogo chiamato Uranometria Argentina, che conteneva 50.000 stelle, e in cui il numero della stella dovrebbe essere seguito da una "G." per differenziarlo dal riferimento di Flamsteed. Così ad esempio 82 Eridani dovrebbe propriamente essere indicata come 82G. Eridani. La designazione di Gould è comunque poco utilizzata.
Il catalogo di Flamsteed contiene anche alcuni errori; nel 1690 Flamsteed osservò Urano senza però riconoscerlo e lo incluse nel suo catalogo come "34 Tauri". Oggi naturalmente questo numero di stella non è incluso in alcun moderno catalogo. Anche "3 Cas", identificata nella costellazione di Cassiopea, è probabilmente il frutto di un errore di identificazione della posizione, ma potrebbe anche trattarsi della prima rilevazione della supernova Cassiopea A, come sembrano indicare le moderne analisi con i radiotelescopi.
Catalogo Henry Draper
Il catalogo di Henry Draper (in genere abbreviato in HD) è un catalogo stellare con dati astrometrici e spettroscopici di più di 225.000 stelle. Il catalogo fu pubblicato la prima volta tra il 1918 e il 1924. Fu compilato da Annie Jump Cannon e colleghi all'Harvard College Observatory, sotto la supervisione di Edward C. Pickering, e fu così chiamato in onore di Henry Draper, la cui vedova donò i finanziamenti necessari per la compilazione.
Le stelle contenute nel catalogo sono di media magnitudine, fino a circa 9m (circa 50 volte più deboli delle stelle più deboli visibili ad occhio nudo). Questa luminosità fa sì che siano oggetti ideali per i telescopi amatoriali, e siano invece molto brillanti nei telescopi professionali. Il catalogo copre l'intero cielo, ed è stato il primo tentativo serio di catalogare il tipo spettrale delle stelle. I numeri HD sono oggi usati diffusamente per le stelle che non hanno un nome assegnato dalla nomenclatura di Bayer o da quella di Flamsteed.
Le stelle numerate da 1 a 225.300 sono presenti nel catalogo originale, e sono numerate in ordine crescente di Ascensione Retta (per l'epoca 1900.0). Le stelle da 225.301 a 359.083 sono presenti nell'estensione pubblicata nel 1949. Queste ultime sono a volte chiamate HDE (Henry Draper Extension), ma il numero basta a separarle e sono quindi spesso chiamate semplicemente HD.
Fonte: Wikipedia
Articoli correlati: I nomi delle stelle [Parte 1], [Parte 3]
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Dalla superficie della Terra sono visibili ad occhio nudo circa seimila stelle (tremila per emisfero). Ovviamente questa stima si riferisce a località “privilegiate”, con cielo terso e privo di inquinamento luminoso, situazione che diventa sempre più difficile da trovare man mano che passano gli anni. In passato però le cose non stavano così e i nostri antenati ebbero modo (e tempo) di ammirare il cielo senza limitazioni artificiali. Da qui, il passo di cercare di riconoscere, nell’arco dell’anno, quegli oggetti luminosi che li sovrastavano, fu breve. Dapprima “relegandoli” all’interno di figure immaginarie o mitologiche (le costellazioni) e poi assegnando un nome proprio agli astri più luminosi. Nomi spesso legati alla posizione delle stelle all’interno delle singole costellazioni. La maggior parte dei nomi delle stelle deriva dall'arabo (l'astronomia era molto sviluppata nel mondo arabo), ma ci sono alcuni nomi derivati dal latino, dal greco e da altre fonti, tra cui anche l'inglese.
Col passare del tempo e con il miglioramento degli strumenti di osservazione questo metodo però divenne insufficiente e si rese necessario ricorrere ad altri sistemi di classificazione e denominazione e, benché al giorno d’oggi la nomenclatura stellare sia prerogativa dell'International Astronomical Union (Unione Astronomica Internazionale - IAU), molti dei nomi assegnati in passato restano in uso e affiancano le designazioni date in tempi successivi.
Altri nomi, specialmente per le stelle variabili (incluse le novae e le supernovae), vengono continuamente aggiunti. La maggior parte delle stelle poco brillanti, e quasi tutte quelle non visibili a occhio nudo, non hanno nome, e per riferirsi a esse si usano i numeri di catalogo.
Vengono qui riassunti brevemente alcuni dei metodi usati per nominare le stelle.
Nomenclatura di Bayer
Questo sistema, introdotto da Johann Bayer nel suo atlante stellare Uranometria del 1603, è basato sulla luminosità e consiste nell’assegnazione di una lettera greca, seguito dal genitivo latino del nome della costellazione di cui la stella fa parte. Come linea generale, la stella più brillante dovrebbe ricevere il nome di Alpha, la seconda più brillante di Beta, e così via. In pratica, ci sono molti esempi in cui questo ordine non è rispettato, e a volte viene usato il nome di una costellazione sbagliata (almeno secondo i moderni confini delle costellazioni). Due stelle hanno un nome doppio: β Tau (γ Aur) e α And (δ Peg). Nonostante questi difetti, la nomenclatura di Bayer è molto utile ed è ampiamente usata ancora oggi.
Ci sono due modi per scrivere i nomi di Bayer: si può scrivere il nome per esteso, come per esempio Alpha Canis Majoris o Beta Persei, oppure si usa una lettera greca minuscola assieme all'abbreviazione di 3 lettere corrispondente alla costellazione: α CMa o β Per.
Anche se le lettere di Bayer più comuni sono greche, bisogna menzionare il fatto che il sistema è stato esteso con lettere latine (perché quelle greche erano insufficienti), prima minuscole e poi maiuscole. La maggior parte di queste sono poco usate, ma ci sono alcune eccezioni come h Persei (che è in realtà un ammasso aperto) e P Cygni. Occorre inoltre notare che le lettere maiuscole latine non sono mai andate oltre la lettera Q, e che tutti i nomi a partire dalla "R" (come per esempio W Virginis) sono in realtà nomi di stelle variabili.
Un'altra complicazione è l'uso di suffissi numerici per distinguere stelle che hanno la stessa lettera di Bayer. Queste sono in genere stelle doppie (la maggior parte sono doppie apparenti, e non reali), ma ci sono alcune eccezioni come la catena di stelle π1, π2, π3, π4, π5 e π6 Orionis.
Fonte: Wikipedia
Continua: I nomi delle stelle [Parte 2]
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Col termine associazione OB s'intende un gruppo di stelle giovani, calde e massicce di classe spettrale O e B (da cui il nome) che si trovano entro una ristretta regione di spazio e che emettono una grande quantità di luce ultravioletta che ionizza il gas circostante, formando una regione H II. Le associazioni OB sono ammassi stellari che possono contenere da poche unità fino a centinaia di stelle (in quest'ultimo caso si dicono superassociazioni OB) e, in genere, si trovano nei dischi delle galassie a spirale, nei quali sono in atto dei processi di formazione stellare molto intensi.
Il fatto che le stelle di tipo O e B abbiano vita breve implica che anche le associazioni OB siano molto giovani (astronomicamente parlando): hanno un'età compresa tra i 5 e 50 milioni di anni. Si tratta quindi di zone privilegiate dove studiare la formazione stellare.
Le associazioni OB si trovano principalmente nei bracci di spirale della nostra e di altre galassie. Spesso si trovano vicine a nubi molecolari giganti, dove le stelle dell'associazione si sono formate. Avendo breve vita, queste stelle non si allontanano molto dal loro luogo di nascita. Le associazioni OB possono avere dimensioni rilevanti, anche centinaia di anni luce, con stelle molto sparse. Tali associazioni, a causa delle forze mareali galattiche, tendono a disperdersi in tempi astronomicamente molto brevi. Paradossalmente, si possono conoscere più facilmente le associazioni OB di altre galassie piuttosto che della nostra, a causa della presenza delle nubi oscure che mascherano la gran parte degli oggetti interni alla Via Lattea.
La costellazione di Orione è in gran parte occupata dall'Associazione Orion OB1, situata a circa 1500 anni luce di distanza dal Sole.
Simili alle associazioni OB sono le associazioni R, in cui le giovani stelle massicce sono immerse in tenui nebulosità; la radiazione di queste stelle illumina parte dei gas, formando delle nebulose a riflessione.
Fonte: Wikipedia
Articoli correlati: Gli ammassi stellari, Gli ammassi globulari
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Il pianeta nano Plutone possiede cinque satelliti naturali conosciuti: Caronte, scoperto il 22 giugno 1978, con cui Plutone forma una sorta di sistema binario, e quattro satelliti minori: Notte e Idra, scoperti il 15 maggio 2005, Cerbero scoperto il 20 luglio 2011 e Stige, scoperto l’11 luglio 2012. I dati attualmente disponibili permettono di escludere la presenza di altri satelliti dal diametro superiore ai 20 km all'interno del sistema di Plutone.
I nomi dei corpi celesti che compongono il sistema di Plutone sono ispirati da divinità o figure mitologiche dell'Oltretomba.
Le dimensioni di Caronte sono proporzionalmente più grandi rispetto a quelle di qualsiasi altro satellite conosciuto, in relazione a quelle del rispettivo corpo madre: la sua massa è circa un ottavo di quella di Plutone, il diametro è quasi pari alla metà. Di conseguenza Plutone stesso orbita attorno al baricentro del proprio sistema di satelliti, situato al di fuori della propria superficie a circa 960 km di distanza da essa. La coppia Caronte-Plutone è inoltre interessata da un fenomeno di rotazione sincrona: gli emisferi che i due corpi si rivolgono sono sempre i medesimi. Venne proposto nell'agosto del 2006, all'assemblea generale della UAI, di considerare Plutone e Caronte un pianeta doppio, ma la proposta non fu accolta.
Le quattro piccole lune orbitano attorno a Plutone da due a quattro volte la distanza di Caronte, dai 42.700 chilometri di Stige fino ai 64.800 chilometri di Idra rispetto al baricentro del sistema. Hanno orbite prograde quasi circolari poste sullo stesso piano orbitale di Caronte.
Questi quattro satelliti sono molto più piccoli di Caronte. Notte e Idra hanno un diametro rispettivamente di circa 42 e 55 km, Stige e Cerbero rispettivamente 7 e 12 km, inoltre tutti e quattro sono di forma irregolare.
Le piccole lune esterne sono in risonanza orbitale con Caronte, con periodi orbitali, rispettivamente per Stige, Notte, Cerbero e Idra, di 3, 4, 5 e 6 volte quello di Caronte, che è in rapporto 1:1 con Plutone.
In passato è stata avanzata l'ipotesi di un grande impatto per spiegare la formazione di un corpo delle dimensioni di Caronte in prossimità di Plutone, simile a quello che ha formato la Luna. L'elevato momento angolare delle lune e le orbite più circolari delle lune più piccole suggerirebbero questo scenario, piuttosto che la cattura dei satelliti dalla fascia di Kuiper. Esistono tuttavia alcuni dubbi che la creazione dei satelliti sia avvenuta per un unico evento di impatto, viste le differenze cromatiche tra Plutone e Notte, rossastri, e Caronte ed Idra, di colore grigiastro, e dal fatto che un tale impatto avrebbe dovuto creare altri satelliti, ma invece nessuna nuova luna o anello è stato scoperto dalla New Horizons.
Fonte: Wikipedia
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5 maggio 1878: G.V. Schiaparelli annuncia la scoperta dei canali di Marte.
I cosiddetti canali di Marte sono una serie di presunte strutture geologiche individuate sulla superficie del pianeta Marte da Giovanni Virginio Schiaparelli (all’epoca direttore dell’osservatorio astronomico di Brera), dando origine a una ridda di ipotesi, polemiche, speculazioni e folclore sulle possibilità che il pianeta rosso potesse ospitare forme di vita senzienti.
Schiaparelli, piuttosto cauto almeno in un primo momento, non sostenne che si dovesse trattare per forza di canali artificiali, ma lasciò intendere piuttosto che avrebbero potuto anche essere una rete idrografica naturale, sebbene avesse pensato subito alla possibilità di un Marte abitato da esseri intelligenti. La maggior parte delle speculazioni sull'esistenza di una civiltà aliena su Marte fu favorita da un'errata traduzione in inglese e francese del lavoro di Schiaparelli: la parola «canale» fu tradotta con il termine «canal» invece del più corretto «channel». Mentre il primo indica un canale artificiale, il secondo termine definisce una conformazione del terreno che può essere anche di origine naturale. (In foto la mappa pubblicata nel 1888 da Schiaparelli).
Tra i più influenti assertori dell'ipotesi sulla natura artificiale dei canali vi fu l'astronomo statunitense Percival Lowell, che rese popolare il concetto presso l'opinione pubblica. Egli condusse una dettagliata serie di osservazioni a sostegno dell'ipotesi che i canali fossero delle imponenti opere di ingegneria idraulica progettate dai marziani per meglio gestire le scarse risorse idriche del loro pianeta.
Tra gli astronomi che osservarono gli ormai caratteristici canali marziani si ricordano anche Henri Joseph Perrotin e Louis Thollon di Nizza. Nacque così l'immagine di un mondo vecchio (contrapposto ad una Terra di mezza età e a Venere primitiva), dove la siccità aveva costretto la matura civiltà marziana ad immense opere di canalizzazione.
Molti però furono gli scienziati che si trovarono in disaccordo con questa teoria. A partire dall'ultima grande opposizione del secolo (1894) i pareri critici assunsero via via maggiore consistenza, visto anche che la tecnologia dei telescopi nel frattempo era migliorata. Fu un altro astronomo italiano, Vincenzo Cerulli, il primo ad avanzare l'ipotesi che le strutture di Schiaparelli fossero illusioni ottiche, come in effetti fu successivamente dimostrato. Dello stesso parere gli astronomi inglesi Richard Anthony Proctor ed Edward Walter Maunder; quest'ultimo condusse anche degli esperimenti visivi al fine di dimostrare la natura illusoria dei canali. E anche l’astronomo greco Eugenios Michael Antoniadi (che in un primo tempo aveva sostenuto l'ipotesi dei canali) durante la grande opposizione del 1909, utilizzando il potente telescopio da 830 millimetri dell'osservatorio di Meudon, alla periferia di Parigi, dimostrò che le linee chiamate canali erano un effetto ottico che derivava dall'unione di più punti operata dall'occhio umano.
I controversi "canali" di Schiaparelli si dimostrarono in realtà delle illusioni ottiche. Benché le analisi spettroscopiche avessero già escluso la presenza di acqua ed ossigeno sulla superficie del pianeta, solo le prime foto scattate dalla sonda spaziale Mariner 4 nel 1965 e la prima mappatura realizzata da Mariner 9 nel 1971 misero definitivamente fine a questa idea, rivelando una superficie arida e desertica, butterata da crateri da impatto, profonde incisioni e formazioni di origine vulcanica.
Le missioni spaziali hanno offerto indizi dell'esistenza passata di acqua allo stato liquido sulla superficie di Marte. Tuttavia le teorie che vedevano la rete di canali marziani come letti asciutti di fiumi vennero confutate dalle fotografie ad alta risoluzione del Mars Global Surveyor, scattate dal 1997 al 2001: nonostante siano visibili reti complesse apparentemente dotate di affluenti e corsi principali, non sono state scoperte sorgenti o reti in scala inferiore che possano giustificare l'origine di ipotetici corsi d'acqua di grande portata.
La presenza di ghiaccio d'acqua su Marte è largamente testimoniata nei sedimenti delle regioni polari, sotto le calotte di anidride carbonica e sotto forma di permafrost, fino a 3 km di profondità. Le analisi delle sonde automatiche sul pianeta hanno confermato che per lunghi periodi il pianeta fu percorso da fiumi e che ampie distese furono sommerse, forse anche per un miliardo d'anni. Le analisi svolte dalla sonda Mars Express hanno rivelato che il ghiaccio presente al polo sud, se sciolto, potrebbe coprire la superficie del pianeta con nove metri d'acqua. Comunque il ghiaccio presente al polo sud non è sufficiente a spiegare le estese erosioni della superficie e quindi gli scienziati stanno ricercando altri depositi d'acqua o altri fenomeni che possano spiegare le erosioni della superficie.
Fonte: Wikipedia