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Osservate per la prima volta da Galileo nel 1611 sono macchioline scure che compaiono sul disco solare. In realtà sono regioni della fotosfera di temperatura poco minore delle zone circostanti, ma quanto basta per apparire oscure per contrasto con queste. Si distinguono una zona centrale più scura (ombra) ed una periferica (penombra). La forma delle macchie è varia, così come le dimensioni. Possono comparire macchie singole, ma più spesso si generano a coppie e sovente in larghi gruppi con evoluzioni complesse che durano da una settimana fino a diversi mesi. La comparsa di macchie sul disco del Sole rispetta una serie di regole trovate per via empirica: una spiegazione precisa del loro significato astrofisico ancora non si ha. La più notevole è la ciclicità undecennale, la più cospicua manifestazione dell'attività solare: su un ciclo di circa 11 anni la comparsa delle macchie ha un andamento caratteristico che tocca prima un massimo e poi un minimo, per poi ripartire nel ciclo successivo in modo quasi analogo, forse modulato da un ciclo più lungo con periodo di circa 80 anni. Le macchie solari sono associate a forti campi magnetici.
Premesso che: le stelle di neutroni si formano quando le stelle massicce, tra le 10 e le 50 masse solari, esplodono come una supernova al termine della loro vita. Mentre gli strati esterni della stella sono espulsi nello spazio, il suo nucleo collassa sotto il proprio peso con una tale forza che i protoni e gli elettroni si uniscono ai neutroni per occupare meno spazio, raggiungendo un'alta densità e diventano stelle di neutroni. La densità è talmente elevata che questi resti stellari concentrano una massa paragonabile a quella del Sole all'interno del volume di una sfera di soli 30 chilomentri di diametro, paragonabile allo spazio occupato da una grande città.
Alcune stelle di neutroni (finora gli scienziati ne hanno trovate solo sei) dispongono di un campo magnetico mille volte superiore a quelle considerate "normali" e milioni di volte superiore a quello che può essere riprodotto in laboratorio: per questo motivo sono state chiamate magnetar (contrazione di magnetic star).
A causa dei movimenti del campo magnetico, vengono prodotte periodicamente delle fratture sulla crosta esterna della stella e da lì partono intensi lampi di luce gamma a bassa energia.
Finora questi oggetti sono stati studiati per lo più nella banda dei raggi X e poco o nulla si sa delle loro proprietà a lunghezze d'onda ottiche.
È la grandezza che consente di classificare le stelle in base all'intensità del flusso luminoso che da esse riceviamo. La magnitudine può essere apparente o assoluta.
La magnitudine apparente indica la luminosità di una stella vista dalla Terra, misurata in scala standard. Per continuità con le stime di luminosità degli antichi, che suddividevano gli astri in 6 classi, dalla prima alla sesta grandezza, si è convenuto nel secolo scorso di mantenere la base di questa suddivisione. Poiché il rapporto tra i flussi di stelle di prima e di sesta grandezza risultò pari a 100, si è assunto che a questo stesso rapporto di luminosità corrisponda una differenza di 5 magnitudini. Si badi che le stelle di maggiore luminosità hanno magnitudine minore e che oggi la classificazione si estende ben al di là della magnitudine 6 che rappresenta il limite ai bassi flussi per la visibilità ad occhio nudo. Analogamente, una suddivisione più fine e quantitativa delle stelle luminose ha portato alla definizione del valore 0 di magnitudine e anche di valori negativi.
La magnitudine assoluta indica invece la luminosità che una stella presenterebbe se venisse spostata alla distanza di 10 parsec (32,6 anni-luce) dall’osservatore.
La definizione di magnitudine apparente o assoluta di una stella può essere estesa ad oggetti diffusi, come galassie e nebulose. La magnitudine integrata è la magnitudine dell'oggetto calcolata sommando i contributi di ogni sua parte al flusso totale.
Telescopio catadiottrico costituito da uno specchio primario sferico e da una lente correttrice molto spessa (più che nel telescopio di Schmidt). In genere, il fascio riflesso dallo specchio primario converge verso la lente correttrice ove una macchia alluminizzata lo rimanda indietro lungo l'asse ottico. Nello specchio primario viene ricavato un foro circolare in cui passa il fascio per essere raccolto da un oculare come nella combinazione Cassegrain.