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5 maggio 1878: G.V. Schiaparelli annuncia la scoperta dei canali di Marte.

I cosiddetti canali di Marte sono una serie di presunte strutture geologiche individuate sulla superficie del pianeta Marte da Giovanni Virginio Schiaparelli (all’epoca direttore dell’osservatorio astronomico di Brera), dando origine a una ridda di ipotesi, polemiche, speculazioni e folclore sulle possibilità che il pianeta rosso potesse ospitare forme di vita senzienti.

Schiaparelli, piuttosto cauto almeno in un primo momento, non sostenne che si dovesse trattare per forza di canali artificiali, ma lasciò intendere piuttosto che avrebbero potuto anche essere una rete idrografica naturale, sebbene avesse pensato subito alla possibilità di un Marte abitato da esseri intelligenti. La maggior parte delle speculazioni sull'esistenza di una civiltà aliena su Marte fu favorita da un'errata traduzione in inglese e francese del lavoro di Schiaparelli: la parola «canale» fu tradotta con il termine «canal» invece del più corretto «channel». Mentre il primo indica un canale artificiale, il secondo termine definisce una conformazione del terreno che può essere anche di origine naturale. (In foto la mappa pubblicata nel 1888 da Schiaparelli).

Tra i più influenti assertori dell'ipotesi sulla natura artificiale dei canali vi fu l'astronomo statunitense Percival Lowell, che rese popolare il concetto presso l'opinione pubblica. Egli condusse una dettagliata serie di osservazioni a sostegno dell'ipotesi che i canali fossero delle imponenti opere di ingegneria idraulica progettate dai marziani per meglio gestire le scarse risorse idriche del loro pianeta.

Tra gli astronomi che osservarono gli ormai caratteristici canali marziani si ricordano anche Henri Joseph Perrotin e Louis Thollon di Nizza. Nacque così l'immagine di un mondo vecchio (contrapposto ad una Terra di mezza età e a Venere primitiva), dove la siccità aveva costretto la matura civiltà marziana ad immense opere di canalizzazione.

Molti però furono gli scienziati che si trovarono in disaccordo con questa teoria. A partire dall'ultima grande opposizione del secolo (1894) i pareri critici assunsero via via maggiore consistenza, visto anche che la tecnologia dei telescopi nel frattempo era migliorata. Fu un altro astronomo italiano, Vincenzo Cerulli, il primo ad avanzare l'ipotesi che le strutture di Schiaparelli fossero illusioni ottiche, come in effetti fu successivamente dimostrato. Dello stesso parere gli astronomi inglesi Richard Anthony Proctor ed Edward Walter Maunder; quest'ultimo condusse anche degli esperimenti visivi al fine di dimostrare la natura illusoria dei canali. E anche l’astronomo greco Eugenios Michael Antoniadi (che in un primo tempo aveva sostenuto l'ipotesi dei canali) durante la grande opposizione del 1909, utilizzando il potente telescopio da 830 millimetri dell'osservatorio di Meudon, alla periferia di Parigi, dimostrò che le linee chiamate canali erano un effetto ottico che derivava dall'unione di più punti operata dall'occhio umano.

I controversi "canali" di Schiaparelli si dimostrarono in realtà delle illusioni ottiche. Benché le analisi spettroscopiche avessero già escluso la presenza di acqua ed ossigeno sulla superficie del pianeta, solo le prime foto scattate dalla sonda spaziale Mariner 4 nel 1965 e la prima mappatura realizzata da Mariner 9 nel 1971 misero definitivamente fine a questa idea, rivelando una superficie arida e desertica, butterata da crateri da impatto, profonde incisioni e formazioni di origine vulcanica.

Le missioni spaziali hanno offerto indizi dell'esistenza passata di acqua allo stato liquido sulla superficie di Marte. Tuttavia le teorie che vedevano la rete di canali marziani come letti asciutti di fiumi vennero confutate dalle fotografie ad alta risoluzione del Mars Global Surveyor, scattate dal 1997 al 2001: nonostante siano visibili reti complesse apparentemente dotate di affluenti e corsi principali, non sono state scoperte sorgenti o reti in scala inferiore che possano giustificare l'origine di ipotetici corsi d'acqua di grande portata.

La presenza di ghiaccio d'acqua su Marte è largamente testimoniata nei sedimenti delle regioni polari, sotto le calotte di anidride carbonica e sotto forma di permafrost, fino a 3 km di profondità. Le analisi delle sonde automatiche sul pianeta hanno confermato che per lunghi periodi il pianeta fu percorso da fiumi e che ampie distese furono sommerse, forse anche per un miliardo d'anni. Le analisi svolte dalla sonda Mars Express hanno rivelato che il ghiaccio presente al polo sud, se sciolto, potrebbe coprire la superficie del pianeta con nove metri d'acqua. Comunque il ghiaccio presente al polo sud non è sufficiente a spiegare le estese erosioni della superficie e quindi gli scienziati stanno ricercando altri depositi d'acqua o altri fenomeni che possano spiegare le erosioni della superficie.

Fonte: Wikipedia

 

47 Tucanae

Un ammasso globulare (detto anche ammasso chiuso o ammasso di alone) è un insieme sferoidale di stelle che orbita come un satellite intorno al centro di una galassia. Gli ammassi globulari sono sorretti al loro interno da una forte gravità, che dà loro il tipico aspetto sferico e mantiene al loro centro una densità di stelle relativamente molto elevata.

Gli ammassi globulari sono in genere composti da centinaia di migliaia di stelle vecchie, le stesse che compongono il nucleo, noto come bulge, di una galassia spirale, ma confinate in pochi parsec cubici. Gli ammassi globulari sono piuttosto numerosi: se ne conoscono 158 attorno alla Via Lattea, con forse altri 10-20 da scoprire, essendo nascosti all'osservazione dalla Terra dalle polveri interstellari che oscurano la vista in direzione del centro galattico; pare che le galassie più grandi possano averne un numero nettamente superiore. Alcune galassie ellittiche giganti (come M87) ne contano fino a 10.000. Questi oggetti sono considerati parte dell'alone delle galassie, orbitando attorno ai centri di queste a distanze fino a 40 Kiloparsec (circa 130.000 anni luce) o più.

L'alta densità stellare degli ammassi globulari fa sì che le interazioni tra stelle e le collisioni mancate siano relativamente frequenti. Il loro centro presenta caratteristiche ideali per la formazione di oggetti peculiari, come le stelle vagabonde blu (ritenute il risultato della fusione di due stelle) o pulsar veloci con periodi di millisecondi, tutti fenomeni presumibilmente risultanti dall'interazione tra più stelle.

Alcuni ammassi globulari sono visibili ad occhio nudo e si presentano come delle piccole macchie chiare e dai contorni sfumati. I più luminosi sono Omega Centauri e 47 Tucanae (in foto), visibili solo dall'emisfero australe, e, da quello boreale, l'Ammasso Globulare di Ercole. Altri ammassi globulari visibili ad occhio nudo in condizioni osservative eccellenti anche dalle latitudini temperate boreali sono M4 nello Scorpione ed M22 nel Sagittario.

Un buon binocolo consente di scorgere numerosi ammassi globulari, ma la loro natura stellare non viene svelata, mostrandosi ancora come delle macchie chiare, simili a stelle sfocate. Per risolvere almeno le stelle periferiche occorrono strumenti come telescopi amatoriali non inferiori ai 114-150mm di apertura.

Con qualche eccezione, ogni ammasso possiede un'età ben definita; la maggior parte delle stelle appartenenti ad un ammasso infatti sono nella stessa fase evolutiva, e probabilmente quindi si sono formate nella stessa epoca. Tutti gli ammassi conosciuti non possiedono nuove stelle in formazione; regioni molto ampie di formazione stellare note col nome di super ammassi stellari, come Westerlund 1 nella Via Lattea, potrebbero essere i precursori degli ammassi globulari.

Alcuni ammassi, come Omega Centauri nella Via Lattea e Mayall II nella Galassia di Andromeda, sono straordinariamente massicci (diversi milioni di masse solari) e contengono popolazioni diverse di stelle; entrambi possono essere considerati la prova che i super ammassi stellari sono in realtà i nuclei di galassie nane che sono state inglobate da galassie più grandi. Alcuni ammassi globulari (come M15) hanno nuclei estremamente massicci che potrebbero ospitare persino buchi neri, anche se dalle simulazioni non possono essere escluse concentrazioni di stelle di neutroni o nane bianche particolarmente grandi.

Gli ammassi globulari sono normalmente costituiti da stelle di popolazione II con bassa metallicità, a differenza delle stelle di popolazione I con metallicità elevata come il Sole (in astronomia i metalli sono tutti gli elementi più pesanti dell'elio, dunque anche quelli che in chimica non sono considerati tali, come il carbonio).

A differenza degli ammassi aperti, la maggior parte degli ammassi globulari restano uniti gravitazionalmente per periodi che si estendono alla vita media della maggior parte delle stelle di cui sono formati (a parte alcune eccezioni dove intense interazioni mareali con oggetti di grande massa disperdono le stelle).

La formazione di un ammasso globulare resta un fenomeno piuttosto misterioso. Gli studiosi non sono sicuri se le stelle si sono formate in una singola generazione, o si estendono per diverse generazioni in periodi di diverse centinaia di milioni di anni. Questo periodo di formazione stellare è tuttavia relativamente breve se paragonato all'età di molti ammassi. Le osservazioni mostrano che la formazione delle stelle degli ammassi globulari avviene innanzitutto in regioni dove questo fenomeno è molto elevato e dove il mezzo interstellare ha una densità maggiore rispetto alle regioni normali di formazione stellare. La formazione dei globulari avviene principalmente nelle regioni dette starburst e nelle galassie interagenti.

Anche se gli ammassi appaiono di forma generalmente sferica, attraverso interazioni gravitazionali possono anche assumere forma ellittica.

La distinzione tra i tipi di ammassi non è sempre netta e sono stati trovati oggetti che hanno caratteristiche appartenenti a due categorie. Ad esempio BH 176 si trova nella parte sud della Via Lattea ed ha le proprietà sia degli ammassi aperti che degli ammassi globulari.

Nel 2005 gli astronomi scoprirono un tipo completamente nuovo di ammasso stellare nella Galassia di Andromeda, che è per alcuni aspetti molto simile agli ammassi globulari. Questi ammassi possono contenere centinaia di migliaia di stelle, come negli ammassi globulari e similmente hanno medesime popolazioni stellari e valori di metallicità, mentre hanno dimensioni molto più estese (diverse centinaia di anni luce) e una densità molto inferiore. Le distanze tra le stelle sono quindi molto maggiori rispetto agli ammassi globulari.

I meccanismi di formazione di questi ammassi non sono noti, ma potrebbero essere legati a quelli degli ammassi globulari; è anche sconosciuto il motivo per cui sono presenti nella galassia di Andromeda ma non nella Via Lattea, come anche se qualche altra galassia contenga questo tipo di ammassi (anche se è molto improbabile che solo la Galassia di Andromeda li contenga).

Fonte: Wikipedia; Immagine: http://www.eso.org/public/images/eso1302a/

 

Articoli collegati: Gli ammassi stellari, Associazioni OB

 

                                                                                                                  

 

La nube di Oort è una nube sferica di comete posta tra 2.000 e 200.000 UA dal Sole. Questa nube non è mai stata osservata perché troppo lontana e buia perfino per i telescopi odierni, ma si ritiene che sia il luogo da cui provengano le comete di lungo periodo (come la Hale-Bopp e la Hyakutake, avvistate alla fine del XX secolo) che attraversano la parte interna del sistema solare. Nel 1932, l'astronomo estone Ernst Öpik ipotizzò che le comete avessero origine da una nube situata al bordo esterno del sistema Solare.

Nel 1950, l'idea fu ripresa dall'astronomo olandese Jan Oort per spiegare un'apparente contraddizione: dato le comete vengono periodicamente distrutte dopo numerosi passaggi nel sistema solare interno, se si fossero originate all'inizio del sistema, oggi sarebbero tutte distrutte. Il fatto che le si possa ancora osservare implica che abbiano un'origine diversa. Secondo la teoria, la nube di Oort conterrebbe milioni di nuclei cometari, che sarebbero stabili perché la radiazione solare è troppo debole per avere un effetto a quelle distanze. La nube fornirebbe una provvista continua di nuove comete, che rimpiazzerebbero quelle distrutte. La teoria sembrerebbe essere confermata dalle osservazioni successive, che ci mostrano come le comete provengano da ogni direzione, con simmetria sferica.

La nube di Oort sarebbe un residuo della nebulosa originale da cui si formarono il Sole e i pianeti cinque miliardi di anni fa e sarebbe debolmente legata al sistema solare. Si pensa che anche le altre stelle abbiano una nube di Oort e che i bordi esterni delle nubi di due stelle vicine possano a volte sovrapporsi, causando un'occasionale "intrusione" cometaria.

È possibile suddividere la nube di Oort in due regioni: la nube di Oort esterna (20.000 – 200.000 UA), di forma sferica e la nube di Oort interna (2.000 – 20.000 UA) di forma toroidale.

La parte esterna della nube è molto poco legata al Sole, ed è la fonte della maggior parte delle comete di lungo periodo. La nube interna è conosciuta anche come nube di Hills, in onore dell'astronomo che suppose la sua esistenza nel 1981. I modelli ipotizzano che la nube dovrebbe possedere al suo interno decine o centinaia di volte le comete presenti nella nube esteriore. Sembra che la nube di Hills sia fonte di comete per la nube esterna, più tenue, nella misura in cui quelle posizionate in questa zona si esauriscono. La nube di Hills spiega perciò l'esistenza della nube di Oort dopo miliardi di anni dalla sua nascita. Nonostante l'altissima densità di comete, ciascuna di esse è separata dall'altra in media da decine di milioni di chilometri. Tra i possibili candidati ad appartenere alla nube di Oort troviamo Sedna, 2012 VP113 e (148209) 2000 CR105.

Fonte: Wikipedia

Gli ammassi stellari sono insiemi di stelle legate gravitazionalmente tra di loro; hanno approssimativamente uguali età e composizione iniziale, avendo tratto origine dalla contrazione di una medesima nube di gas e polvere.

Distinguiamo tre tipi di ammassi stellari: gli ammassi aperti, gli ammassi globulari e le associazioni OB.

Gli ammassi aperti sono anche chiamati ammassi galattici, poiché si trovano solo all'interno del disco galattico. Sono oggetti giovani (astronomicamente parlando) e contengono quindi molte stelle calde e luminose. Questo rende gli ammassi aperti visibili da grandi distanze, nonché un tipo di oggetti facili da osservare anche con piccoli strumenti. La nube molecolare "genitore" è a volte ancora associata all'ammasso, che ne illumina alcune parti che diventano visibili come una o più nebulose.

Le stelle che compongono un ammasso aperto sono inizialmente molto vicine e si muovono con la stessa velocità attorno al centro della Galassia. Dopo un tempo dell'ordine del mezzo miliardo di anni, un normale ammasso aperto tende a essere disturbato da fattori esterni; le sue stelle iniziano a muoversi con velocità leggermente differenti e l'ammasso inizia a sfaldarsi. L'ammasso diventa quindi più simile a una corrente di stelle, le quali non sono abbastanza vicine per essere considerate un ammasso, sebbene siano tutte ancora legate tra di loro e posseggano lo stesso moto proprio.

Gli ammassi aperti variano da esempi di insiemi di poche stelle poco concentrate fino a larghi agglomerati contenenti migliaia di stelle; di solito consistono in un nucleo più denso, circondato da una "corona" diffusa di stelle meno vicine fra loro. Il nucleo misura di solito 3-4 anni luce di diametro, mentre la corona può estendersi fino a venti anni luce dal centro dell'ammasso.

Gli ammassi aperti sono classificati secondo uno schema sviluppato da Robert Trumpler nel 1930. Questo schema si basa sulla determinazione di tre parametri: il primo, espresso in numeri romani da I a IV, indica la concentrazione e il contrasto rispetto al campo stellare circostante (da più concentrato a meno concentrato); il secondo, espresso in numeri arabi da 1 a 3 indica l'escursione di luminosità fra le sue componenti (da una piccola a una grande escursione); il terzo parametro infine è espresso dalle lettere p, m e r, indica se l'ammasso è povero, medio o ricco di stelle. Una n segue questi tre parametri, nel caso in cui fra le componenti dell'ammasso vi siano nebulosità.

Ammasso delle PleiadiPer esempio lo schema di Trumpler per l'ammasso delle Pleiadi è I3rn (ammasso fortemente concentrato, con una grande escursione di luminosità fra le sue componenti, riccamente popolato e con nebulosità presente), mentre le vicine Iadi sono classificate come II3m (ammasso debolmente disperso e con meno componenti).

Nella nostra Galassia sono noti circa un migliaio di ammassi aperti, ma si calcola che in realtà ce ne possano essere fino a dieci volte tanto.

Nelle galassie spirali, come la nostra, gli ammassi aperti si trovano quasi esclusivamente nei bracci di spirale, dove la densità delle nubi gassose è molto più alta, favorendo di fatto la formazione stellare; gli ammassi di solito si disperdono prima che abbiano il tempo di attraversare i vari bracci di spirale. La loro concentrazione è molto più elevata in vicinanza del piano galattico, dal quale si possono distaccare (nella nostra Galassia) fino a un massimo di 180 anni luce, poco se paragonato al diametro della nostra Galassia, che è pari a 100.000 anni luce.

Dopo che un ammasso non è più legato gravitazionalmente, molte delle sue componenti stellari si saranno già separate, muovendosi in una direzione comune; l'ammasso si sarà trasformato in una associazione stellare. Molte delle stelle più luminose del Grande Carro sono membri di un antico ammasso aperto che ora si è disperso, assumendo l'aspetto e le caratteristiche di un'associazione stellare, ora nota come Associazione dell'Orsa Maggiore. Alla fine, la leggera differenza fra le velocità relative delle stelle le porterà a disperdersi nella galassia. Un ammasso più grande è noto invece come "corrente stellare".

L'ammasso da cui ebbe origine il Sole, formatosi cinque miliardi di anni fa, è ormai completamente dissolto e le sue stelle sono disperse nel disco della galassia, senza possibilità di poterle distinguere dalla popolazione galattica generale.

Fonte: Wikipedia; Immagini: NASA, ESO, Wikipedia

 

Continua: Gli ammassi globulari

Makemake è il quarto pianeta nano per dimensioni del sistema solare ed è appartenente alla classe dei plutoidi. Il suo diametro è pari all'incirca a 3/4 di quello di Plutone. La sua orbita è per intero situata esternamente rispetto all'orbita di Nettuno, pertanto è corretto definirlo un oggetto transnettuniano, appartenente al gruppo dei cubewani.

Ha un satellite conosciuto, S/2015 (136472) 1, la cui scoperta è stata resa nota il 27 aprile del 2016. Circa 1300 volte meno luminoso del pianeta nano; il suo diametro è stato stimato in circa 160 chilometri, pari a circa un nono rispetto a quello di Makemake. La sua orbita non è ancora stata calcolata con precisione: la luna sembrerebbe trovarsi su un'orbita circolare, a circa 21.000 chilometri dalla superficie del pianeta nano, che completerebbe in circa 12 giorni.

La temperatura estremamente bassa (circa 30 K) che si registra sulla sua superficie fa sì che essa sia ricoperta da ghiacci di metano, etano e probabilmente azoto. Il suo nome richiama la figura di Makemake, divinità della creazione secondo la mitologia pasquense.

Makemake è stato scoperto il 31 marzo 2005 da un gruppo di ricerca dell'osservatorio di Monte Palomar. A dispetto della sua relativa luminosità, Makemake non è stato scoperto se non dopo numerosi altri oggetti meno luminosi appartenenti alla fascia di Kuiper. La maggior parte delle campagne di ricerca degli asteroidi sono condotte in prossimità del piano dell'eclittica (la regione del cielo in cui transitano il Sole, la Luna e gli altri pianeti, se visti dalla Terra) a causa della maggiore probabilità di trovare oggetti lì piuttosto che altrove, ed è probabile che Makemake sia sfuggito alle prime ricerche a causa della sua elevata inclinazione orbitale che lo porta a visitare regioni del cielo lontane da tale piano.

Con un diametro stimato di circa 1500 x 1430 km, percorre la sua orbita (inclinata di quasi 29° sul piano dell’eclittica) in poco meno di 310 anni; all’afelio raggiunge la ragguardevole distanza di 52 UA dal Sole, mentre al perielio si “avvicina” a 38,5 UA.

Makemake ruota piuttosto lentamente rispetto agli altri pianeti nani (circa 23 ore); ciò potrebbe essere stato determinato dalle interazioni mareali con il satellite. È stato anche ipotizzato che nel sistema sia presente un secondo satellite di grandi dimensioni che ancora non è stato scoperto.

Osservazioni condotte nell'aprile del 2011 durante una occultazione stellare escludono la presenza di un'atmosfera su Makemake. L'interruzione nella visibilità della stella è stata netta, senza il verificarsi di quei fenomeni di diffusione della luce che manifestano gli oggetti dotati di un'atmosfera.

Fonte: Wikipedia